“C’è una colite ulcerosa…
Mi sente?Mi ha capito?!”
Io annuisco in silenzio.
E’ il risveglio da una colonscopia in sedazione profonda; dormivo ma è al risveglio che è iniziato il mio incubo.
Non conoscevo questa malattia, sapevo solo di stare male, di non riuscire più ad avere una vita normale e l’ unica cosa che volevo era conoscere il nome di ciò contro cui avrei dovuto lottare. Volevo tornare a stare bene, chiudere quel periodo nero e riprendere in mano la mia vita. Consapevole del fatto che non mi sarebbe bastato prendere due pillole per tornare come prima, sapevo che avrei dovuto lottare, lottare e lottare ancora e non credevo che ne sarei stata capace.
Arrivò così il periodo più brutto della mia vita. Stavo male fisicamente, non riuscivo ad alzarmi dal letto. Di mattina andavo in ospedale a fare le flebo di cortisone, sperando di placare la fase più acuta e passavo il resto del giorno a letto. Non mi reggevo in piedi, non riuscivo a mangiare senza che arrivassero quegli atroci dolori addominali che mi obbligavano a correre in bagno. [su_pullquote align=”right”]Perdevo tanto sangue.[/su_pullquote]Il mio corpo provava dolore dappertutto, ancora più forte quello psicologico. Non potevo accettare che la mia vita da quel momento sarebbe stata per sempre quella.
Ero piena di dubbi, paure, sempre più scoraggiata e chiusa in me stessa. Ho iniziato a convivere con la rabbia di chi si sente impotente e in balia delle situazioni. Mi dissero che trovando la giusta terapia sarei stata meglio ma dovevo avere pazienza. E fu così: ho aspettato circa sei mesi prima di riuscire a vedere qualche risultato positivo e a sentirmi un po’ meglio.
Nel corso di quei mesi, che mi sembravano comunque interminabili, avevo riflettuto tanto, mi ero presa del tempo per me e avevo iniziato un importante lavoro su me stessa, imparando a sfruttare la mia rabbia per reagire. Mi sono guardata dentro, nel profondo, e ho capito che dovevo imparare ad accettare questa nuova me, con questa disabilità e con tutti i limiti che, col tempo, ho imparato a rispettare. Ho ripreso in mano la mia vita e ho ricominciato a vivere a pieno ogni esperienza. Ero costante nelle terapie, nell’alimentazione e nell’attività fisica e soprattutto nella gestione dello stress. Ho iniziato a prendermi dei momenti solo per me, a fare quello che mi faceva stare bene e pian piano la rabbia è andata via.
Avevo deciso che era il momento di realizzare i miei sogni e che avrei voluto avere dei figli. Durante una visita chiesi timidamente al gastroenterologo se la malattia mi avrebbe portato dei problemi ad avere e a gestire una gravidanza. Nonostante fossero passati due anni dall’esordio della malattia, mi disse che avrei dovuto aspettare almeno un altro anno prima di pensare di avere un figlio.
Ho aspettato e il desiderio di diventare mamma cresceva ogni giorno sempre di più. Nel frattempo io e il mio compagno abbiamo deciso che quel periodo d’attesa era il momento migliore per sposarsi e in qualche mese abbiamo organizzato il tutto. Ero felicissima e a soli tre giorni dal matrimonio ho scoperto di essere incinta. Stavo bene e aspettavo un bambino! Il mio sogno si stava finalmente realizzando.
Quando Emanuele è nato io sono rinata insieme a lui.
Ogni suo sorriso ricompensa ogni sacrificio, ogni rinuncia e ogni attimo buio del mio passato, e mi da modo di pensare che, anche se ci saranno altri momenti così, io sarò in grado di affrontarli e andare avanti più forte di prima. Adesso, a distanza di quasi due anni dalla sua nascita, siamo ansiosi di accogliere il nostro secondo piccolo miracolo, Davide, che fra pochi giorni sarà qui con noi…Ed io, sono pronta a rinascere un’ altra volta!
Chiara, colite ulcerosa, mamma resiliente di Emanuele (2 anni) e Davide (in arrivo)